Dennis Oppenheim, Digestion 1989. Tecnica mista su carta 96x126 cm

DENNIS OPPENHEIM
 OPERE STORICHE”

22 OTTOBRE – 23 DICEMBRE 2004
Inaugurazione venerdì 22 ottobre ore 18.30
a cura di Andrea Della Rossa

Intervento poetico musicale di Ilario Franco e Pablo Visconti

 

Dennis Oppenheim, tra i massimi esponenti della Land Art, della Body Art e della Performance Art, nasce il 6 settembre 1938 a Electric City (Washington). Frequenta prima il California College of Art and Crafts in Oakland, e successivamente la Bay Area. Infine, dopo gli studi presso la Stanford University, si trasferisce a New York dove stringe contatti con gli ambienti artistici più avanzati. Dal 1967, anno in cui realizza il suo primo “Earthwork” (buco nel terreno), fino ai primi anni Settanta esegue una serie d’interventi sul paesaggio naturale senza alterarlo permanentemente, ma con un evidente carattere di transitorietà. I materiali naturali usati sono quelli che si degradano nel tempo e restituiscono i luoghi così come erano allo stato originario. Di ogni intervento l’unica traccia che rimane è la documentazione fotografica e cinematografica. Successivamente sposta il suo interesse dalle vaste superfici dei territori a quelle del corpo umano (Body Art). Negli anni Ottanta realizza enormi installazioni che rappresentano oggetti immaginari e distorti, macchine dotate di luci e di suoni. In quest’ultimo periodo è impegnato a realizzare installazioni per spazi pubblici. Delle opere esposte in galleria, realizzate tra il 1969 e il 1989, segnaliamo le più significative: “Gallery transplant”, 1969; “Pretty idea, 1974; “Death holes. Two locations”, 1976; “Star Skid”, 1977; “Study for digestion”, 1989.

Dennis Oppenheim, one of the maximum exponents of Land Art, Body Art and Performance Art, was born on 6th september 1938 at Electric City (Washington). He first attends California College of Arts and Crafts in Oakland , later Bay Area. Finally he studies at Stanford Univerity and then he moves to New York, where he meets the most advanced artistic circles. From 1967, when he realizes his first ‘Earthwork’ (hole in the ground), to early Seventies he performs several works about natural environment without changing it permanently, but with an evident caracter of temporariness. The natural naterials he employes degrade themselves as time passed and they restitute places at originary condition.The only sign which remains is the fotografic and cinematographic documentation. Afterwards he moves his interest from the wide territories to the human body (Body Art).In Eithies he realizes enormous installations which represent imaginary and distorted objects, machines with lights and sounds. In this last period he is involved to realize installations for public areas. Among the works we expose in our gallery, realized from 1969 to 1989, we point out the most significative: ‘Gallery transplant’, 1969; ‘Pretty Idea’, 1974; ‘Death holes’.Two Locations’ 1976; ‘Star Kids’ 1977; ‘Study for Digestion’ 1989.

L’ENERGIA GLOBALE DI DENNIS OPPENHEIM Sin dal suo primo apparire sulla scena dell’arte, Dennis Oppenheim s’impose come uno degli artisti maggiormente coinvolto nella “crisi” della cultura e, in particolare, nella situazione di incertezza e di perplessità che attraversava la poetica dei personaggi più impegnati e più sensibili alle istanze personali ed interiori, alla richiesta di cambiamento e di rinnovamento totale e radicale, cosicchè le personalità più geniali e creative diedero vita a correnti, tendenze e movimenti avanguardistici, innovativi e persino rivoluzionari. Con grande ardore e partecipazione essi, infatti, introdussero nel mondo delle arti visive nuovi principi, nuove tecniche mai sperimentate prima, nuovi materiali e nuovi linguaggi, e smontarono volontariamente o inconsapevolmente le classificazioni sistematiche, imposte e accettate come dogmi di un “pensiero dominante” e come “forme” di modelli garantiti dalla tradizione più retriva e dalla cultura accademico-formale, ancora contemplativa e non vissuta, sempre autoreferenziale e ancor più anestetizzata contro i “rimedi” e contro “traumi” provocati dagli attacchi alla ricerca dell’armonia e della bellezza. Rispetto al contesto e alle problematiche politiche, economiche, sociali e religiose, il flusso dei fenomeni e degli eventi indirizzò l’arte contemporanea verso la frequentazione, la scoperta e la pratica di un nuovo modo di sentire il rapporto tra natura e uomo, tra prodotto e produzione, tra “vista”, quale “fnestra” o luogo d’osservazione, oppure “via” per le comunicazioni intergalattiche, ed anche “stazione” del “desiderio” reale, del “luogo non ancora raggiunto” e quindi dell’utopia. Ove forse Dennis Oppenheim giunse in volo su un elicottero per disegnare nel cielo, azzurro e sconfinato, bianche volute e partiture aeree, simbolicamente trascritte come estensione territoriale e dilatazione dell’energia del figlio e come concentrazione della materia, prima rappresa, e poi consolidata, attraverso esperienze primarie, negative o interdette, comunque implicate in un processo intenso e pervasivo che nega ogni facoltà di accesso e frequenza tra e con artisti di grande levatura e spessore tecnico-creativo, almentando lo svolgimento e l’impianto del teatro “poverista”, che tanto piaceva a Bob Wilson e che ha continuato a dedicare il suo interesse e il suo talento drammatico, fortemente connesso con la natura, le inclinazioni alla pittura e alla scultura, per la incrollabile vocazione all’architettura, alla grafica e al design industriale, universalmente riconosciuto e apprezzato. A questo punto del discorso sembra opportuno fare un riferimento che ricolleghi il diverso grado di poeticità e di complicità con tutte le situazione dinamiche e contraddittorie dei personaggi, degli ambienti e dei testi, tra i quali si leggono “Pretty ideas”, “Long Island new York”, “Death Holes. Two locations”, “Study for digestion”, “Star skid”, “Gallery Transplant”, “Annual rings”, “Polarities”, “Shadow Projections”, “Ground mutations”, “Land Slide”, “Directed seeding, cancelled out crop”, “Protection”, “Removal. New York stock exchange”, “Lead sink for Sebastian”. Posto al centro di una crisi singolare per la sua vita e per i rapporti con la collettività, Dennis Oppenheim si spinse verso un processo intenso di introspezione per conseguire un’arte autoanalitica. La scelta si orientò, poi, per un’azione scenico-visiva sulla felicità. Le sue esperienze più coinvolgenti e più incisive lo vedono tra i più noti artisti dell’arte concettuale. Ne parlano in modo inequivocabile autori e saggisti come Ursula Mayer, Jah Burnhan e Rosemberg. Successivamente si susseguirono altre esperienze, quali i “segni” di delimitazione di vasti spazi e anche di tratti e sezioni ritagliati lungo una porzione d’autostrada. Ma queste presenze venivano indicate come sculture e come fatture indicanti un nuovo modo di creare le cose, con un passaggio interessante che andava dalla selezione alla creazione. In effetti questo processo di riduzione e di sottrazione comportava lo scavo di masse di terra e, quindi, si avvertiva la necessità di ricerca e di spazi posti in relazione di allocazione di oggetti esterni e già esistenti. Nella nuova dimensione l’arte minimale faceva sì che la gente guardasse le forme indicanti i segni di delimitazione che contornavano un’estensione, mentre la massa ne mostrava un’altra e tentavano così di ridefinire l’arte nel contesto della galleria. Le forme relazionali ricostruivano nuovi luoghi e nuovi spazi che sembravano illimitati; la procedura sculturale avvertiva il bisogno di diverse descrizioni perché non era determinato in uno studio. Nelle opere di grande impegno e di complesso impianto non emergeva più la rigidità classica dei volumi pluridimensionali, tutte le forme di energia e condizioni sempre presenti non risultavano mai discernibili; come sostanze dell’arte divennero anche visibili. L’elemento fondamentale di tutti i lavori, a partire da ostacoli e ostruzioni stimolavano tutta l’energia dell’artista, che operava lo spostamento delle opposizioni e dell’ingombro, ovvero Dennis ricorreva all’uso dell’energia capace di correggere il materiale, facilitarne l’uso e agire come attrezzo indispensabile nel costituire una condizione al di fuori dell’artista che dirige l’opera verso se stesso. Pochi anni dopo Oppenheim sentì che la sua scarica dipendeva dall’uso dei suoi familiari per mezzo dei quali allargava la dimensione temporale e induceva i figli a compiere un’attività pertinente e assecondata ad una cronologia diversa; pertanto opere come “Stretch” (1970), “Search for clues” (1975), “Whirpool” (1973), “Lecture” (1976), “Theme for a Major” e “Hit” (1975) riconducono alla poetica dell’energia che accompagna e genera, attraverso il movimento e il suono alla visione globale del mondo e delle allusioni possibili e probabili in quanto prolungamento di problemi dell’integrazione e dei difficili rapporti intersociali. Così anche le nuove trame lo vedono impegnato nel “Teatro del mondo”. Infine il visitatore partecipa ad un modo diretto di essere protagonista e spettatore di attività praticata in tempo reale nello spazio delle spettacolarità.

A sua volta il gallerista napoletano Andrea Della Rossa, col gusto e la sensibilità dell’artista, ha presentato un’esposizione dal taglio intelligente e dal progetto sostenibili, visibile fino al 22 dicembre presso Area 24 Artgallery in Via Ferrara 4.

Arcangelo Izzo Dal quotidiano “Roma” del 6 novembre 2004