Gino Bionda

Senza titolo, anni '50. Tecnica mista su carta cm 40 x 55
Particolare dell'installazione
Particolare dell'installazione

Gino Bionda
antologica

8 novembre 2013 – 10 gennaio 2014
Inaugurazione venerdì 8 novembre ore 18.30
Testo in catalogo di Marco di Mauro

Riflessioni sull’arte di Gino Bionda

Gino Bionda è un pittore che, attraverso un formalismo organico che non oserei definire astratto, racconta il suo mondo pur rinunziando a qualsiasi messaggio esplicito o decodificabile. Il suo racconto, a tratti dolente, a tratti malinconico, si snoda limpido e chiaro facendo risuonare degli stati d’animo, delle situazioni di serenità o di tensione, di elevazione o di stasi. Ciò significa che la sua dimora d’elezione non è un’entità geografica, bensì un luogo interiore, popolato di maschere e reperti memoriali, che giungono alla percezione per vie misteriose e sfidano l’irriducibile opposizione tra essere e  apparire, anima e corpo, riuniti nella superiore totalità della natura. È significativo, in tal senso, che nella sua biblioteca vi fossero diversi volumi di zoologia e botanica, da ritenersi complementari ai saggi di storia dell’arte.
Gino Bionda, dunque, vive l’arte come un’esperienza intima e personale, lontana dai clamori delle fiere e delle biennali d’arte. Due occhietti arguti, dalle pupille lucide e nere, fanno capolino tra le morbide pieghe della sua pittura, scrutandoci ambiguamente “dal di  
dentro”. In questi occhi non si riflette la luce del sole, né il buio delle tenebre, ma un’ermetica luce interiore, secondo l’ottica “centripeta” che ispirò il perduto Autoritratto di Arturo Martini (1943), che incise i propri occhi all’interno del volume della testa.  
Un autentico segno iconografico, dunque, sono gli occhi di Gino Bionda, che sembrano, da un lato, indagare impietosamente sulla nostra coscienza, e da un altro, sorridere delle nostre menzogne e delle nostre ipocrisie.
Nell’opera di Bionda si percepisce una nota d’ironia, che gli permette di evadere dalla solitudine e dall’angoscia esistenziale, esplorando i fiorenti territori dell’immaginazione. L’artista alza il velo di un mondo metafisico, di cui molti ignorano l’esistenza, dispiegando una congeniale emotività che ora sfuma nelle liriche trasparenze dell’acquerello e ora esplode, con la forza dell’interiore passionalità, in segni incisivi e guizzanti impressi sulla carta con la matita.
Ma il percorso di Gino Bionda è tutt’altro che lineare: nei primi anni ’70 approda ad un geometrismo “apparente”, composto da fasci di rette convergenti o divergenti, che si intersecano dando vita a schegge luminose e policrome. Immediato è il rimando, sia formale che teorico, all’arte di Paul Klee nell’agglomerato di segni che lasciano trasparire un mondo sotteso, percepibile attraverso quelle schegge di colore che si impongono alla vista come “pungoli ottici”.
Significativa è anche la scelta dei supporti: pagine di cataloghi, cartoline promozionali, ma soprattutto i pacchetti di sigarette Gitanes. Il nome stesso evoca la sua vita errante e sradicata, tra la Francia e l’Italia, ma la metafora potrebbe essere del tutto casuale.  
Bionda usava dipingere su qualsiasi supporto, purché fosse legato al suo vissuto personale, creando così un rapporto di continuità fra il supporto e la pittura, due strati sedimentati di un’unica memoria. Molti disegni sono eseguiti su inviti e biglietti di mostre, che testimoniano un interesse onnivoro per tutte le arti, di ogni epoca e stile.
Sarebbe interessante conoscere le frequentazioni di Gino Bionda duranti i suoi lunghi soggiorni parigini; malauguratamente, però, un incendio ha distrutto gran parte delle sue lettere. Possiamo tuttavia individuare nella sua pittura consonanze con Wifredo Lam, Alberto Magnelli e Riccardo Licata, titolare della cattedra di mosaico nell’Accademia di Belle Arti di Parigi dal 1961 al 1995. A questi pittori Bionda è accomunato da una visione magico-surreale, che discende dai maestri del surrealismo ed in particolar modo da Joan  
Mirò e Sebastián Matta. Eppure Bionda rimane un artista isolato ed eclettico, che sfugge a qualsiasi classificazione di genere o di stile e merita una più attenta analisi.
Marco di Mauro

Gino Bionda nasce a Gravellona Toce il 23 agosto 1919, compie gli studi superiori al collegio Rosmini di Domodossola e quelli universitari a Milano, dove consegue la laurea in Veterinaria.  
Esercita la professione di veterinario per un decennio, ma l’amore per  l’arte lo conduce nel 1952 a Parigi, dove abbandona definitivamente la medicina per dedicarsi alla pittura. Nel 1974 ritorna a Gravellona Toce, dove stabilisce il suo studio in Via XX Settembre. Muore il 7 febbraio 1986. Gino Bionda espone nel 1969 e 1972 a Parigi presso la Galerie Jacques Massol, nel 1976 a Milano presso il Club Amici dell’Arte, nel 1977 ad Omegna alla Galleria Silvano Spriano, nel 1978 presso la Biblioteca Civica di Gravellona Toce. Nel 1999 il Museo del Paesaggio gli dedica un’ampia retrospettiva. Sue opere sono presenti in numerose collezioni private a Parigi, Lussemburgo, Losanna, Tolosa, Omegna, oltre che al Musée de la Ville de Paris e al Musée de la Ville de Luxembourg. Di lui hanno scritto Jacques Massol, Pierre Cabanne, Paul Gautier, Christiaan Veldman, Renzo Modesti, Gianni Pizzigoni e Roberto Ripamonti. Numerosi articoli sono apparsi su Le Nouvelle Observateur, Le Monde, L’Aurore e Nouveau Journal. Il 29 giugno 2011 un suo acquerello (Homme oiseau) è transitato alla casa d’aste Jean-Marc Delvaux di Parigi.