Nagasawa

"lavoro di carta-5", 2008 - carta fabriano e carta giapponese - 84 x 63 x 10 cm
"lavoro di carta-6", 2008 - carta fabriano e carta giapponese - 84 x 63 x 10 cm
"disegno (rame)-3", 2008 - collage di rame su carta e acido - 70 x 50 cm
"disegno con rame", 2008 - collage di rame su carta e acido - 70 x 50 cm

Hidetoshi NAGASAWA
“opere di carta”

8 NOVEMBRE 2008 – 9 GENNAIO 2009
Inaugurazione sabato 8 novembre ore 19,00  
testo di Giacomo Zaza

Nagasawa. La via della levità

Anche per la mostra di Napoli, Nagasawa continua a misurare la quantità del visibile, del non-detto, del non-visto. Lo fa attraverso un nucleo di opere recenti realizzate con carta Fabriano o carta giapponese. Una attenzione alle forme stesse, “alle loro infinite sfumature, alla loro pura e semplice presenza, con una sorta di abbandono attivo”. In questa mostra domina l’essenza del bianco, che, unito agli altorilievi delle carte tagliate e modellate, diffonde un’aria di purezza rigeneratrice.
L’arte si pone oltre la vita e la morte quale spazio mitico, costruito per favorire un racconto non coordinabile a quello della nostra geografia, ma ottenuto ricorrendo alla capacità di esplorazione e di comprensione del sacro e del mistero. Uno spazio e un tempo che si animano di prossimità e di distanze misurate dalle peripezie del desiderio.
L’opera di Nagasawa approfondisce i sensi e li acuisce in ipersensi. Equivale ad atti sconosciuti di vita, non solo in seno alla psiche umana, ma anche in base alla fisica della materia. Come le parole è pensata nella levità e nella incorporeità. Ogni sua visione tanto più possiede i nostri sensi quanto più è immateriale. E’ fonte di partecipazione e trasformazioni ulteriori: di energia per il sensorio.
L’artista fa levitare marmo, ferro, legno ed altri materiali, innescando un sistema di leve, di spinte reciproche e di incastri, privo di bulloni, viti, o saldature. Per il fruitore la sensazione è quella di un guardare obliquo, indiretto, un’osservazione “yin”, che scivola in uno spazio austero, sottratto alle accelerazioni della cultura metropolitana, dove il tempo risulta pausato da una dimensione di “dormiveglia”, una dimensione in bilico tra il sonno e la veglia. Qui hanno inizio le spedizioni nella profondità del “tempo zero”, una profondità intrisa di percezioni oniriche e di stimoli tattili, calibrati dal proprio spirito e dal proprio soffio: «quando il tempo si muove più adagio, un profumo attraversa lo spazio. Quando il profumo aumenta d’intensità si avvicina il tempo zero. Il tempo zero è la via che congiunge i due mondi» (Nagasawa).
Il pensiero di Nagasawa rompe i netti confini della realtà razionale, la supera per entrare in un’altra realtà. Questa realtà differente è una dimensione sensibile di vicinanza con la materia e lo spirito, con ciò che è visibile ed invisibile. Un territorio di passaggio e di tensione verso una superficie ricca di accadimenti visivi e di sconvolgimenti psichici.
Nagasawa parla spesso di natura parallela o doppia, dove indicare la possibilità di un varco, insieme l’esistenza di una soglia che possa mettere in comunicazione i fenomeni e le cose con i corpi umani. Presenza adibita alla meditazione, in cui si annidano intervalli di tempo, vuoti pieni di “densità” interiori, dove le cose palpabili e impalpabili si confondono in un estatico silenzio.
Il luogo metafisico dell’artista ci avvicina ad una sfera psicofisica di equilibrio e di armonia, riferibile all’idea di un vuoto che è pienezza e totalità: “il vuoto, il silenzio, il non-agire sono la livella dell’equilibrio dell’universo, la perfezione della vita e della virtù”.
Pari alle posture lente e silenziose del registro scenico del teatro Nô (Nogaku), o ai gesti ponderati durante la cerimonia del tè, la composizione delle opere sembra muovere verso la relazione illimitata ad una totalità. Il rigore formale e la semplicità degli elementi, invitano all’attenzione verso l’essenziale, svolta attraverso la sua estensione nello spazio: uno scambio emozionale mediante il quale si instaura la purificazione di un’animo carico di sensazioni.
Quella tracciata da Nagasawa è una zona di sospensione del reale che si fa spazio sensoriale dai risvolti inattesi, dove, sparito il confine, si instaura una osmosi tra la mancanza e la presenza creativa, tra riflessi inafferrabili ed impalpabili.
Nagasawa arrotola, piega, ritaglia superfici di rame, ottone, carta, le contamina a volte con acidi che dipingono macchie dal verde-azzurro al nero fumo. Si alternano interventi diversi utili ad una orchestrazione luminosa seguita attraverso reticoli di tubi d’ottone e nastri di rame, pieghe inventate con fogli d’ottone. Nagasawa dota la superficie di una plasticità animosa e incessante.
La fattura “aptica” di un’immagine di Nagasawa può risolversi in un’appercezione puramente ottica, favorendo la mente oltre che i sensi. Oltrepassa le vie praticate dal modernismo, che prevedeva la prosecuzione dell’ottico nel tattile, dove guardare fosse già toccare. L’aptico evoluto pare quello in cui toccare è come guardare, dove, una volta escluso il tocco e il tatto, resta lo sguardo.
Nagasawa ha rigenerato la vita latente nella materia e sulla superficie di grandi strutture, avvicinando il corpo alla forma e allontanando lo sguardo nella luce.